venerdì 21 gennaio 2011

Davide - Per esser cittadino del mondo è condizione il conoscerlo

Qui si parla di:

1. Nome? Anni? Luogo di nascita? Cosa studi attualmente?
Davide; venti; Filosofia.

2. Qual è stato il vero motivo della tua partenza? Vorresti raccontarci il momento in cui hai preso la decisione di partire? 
a. In un primo momento l’idealizzazione dell’Alta Italia, ai miei occhi un trampolino per l’Europa. Ero affascinato dal primato civico delle città settentrionali e dalle numerose occasioni di crescita culturale (mostre, conferenze, concerti, ecc.) che mancavano alla mia provincia, o che —aggiungo oggi— io superbamente non volevo vedere. 
b. È un’idea che ho covato lungo tutta l’esperienza liceale. Certo, solo al quinto anno ho saputo scegliere la città, ma doveva rispondere a canoni precisi: illustre ma non troppo estesa, suggestiva, vivibile, ovviamente centrosettentrionale. Dapprima fu Urbino, attratto com’ero dalle lezioni del professor Losurdo. Ora, dopo alterne vicende, mi sono trasferito stabilmente a Pisa.

3. Ti è stato facile integrarti con una realtà in qualche modo differente? La difficoltà più grossa che hai trovato?
a. Non parlerei di grandi differenze, ma dopotutto io ho lasciato una città piccola per un’altra città piccola (giusto un po’ piú in alto nella carta geografica). Scherzi a parte, nessuno degli svantaggi del «borgo natío» con tutti i vantaggi che aveva, piú diversi altri.
b. Le difficoltà piú grosse le ho avute nella parentesi catanese. Una volta, confrontando Pisa e Catania ho concluso: «Qui ho trovato la civiltà». Al che il mio amico viterbese ha risposto: «No, qui hai trovato la normalità!»

4. Se dovessi suggerire ad un amico un motivo per lasciare la tua città d'origine e uno per restarci, cosa gli diresti?
a. Sprovincialízzati —gli direi: per esser cittadino del mondo è condizione il conoscerlo.
b. Un motivo per restare? Tutt’al piú suggerirei un motivo per tornare: trasmetti la tua esperienza ai conterranei piú giovani.

5. Il tuo luogo d’origine è stato motivo di discriminazione o vantaggio?
Dissimulo il piú possibile il mio accento, ma non faccio mai mistero di essere siciliano. La gente a volte si stupisce. Sarà per questo che non sono stato ancora vittima nemmeno delle piú bonarie delle battute.

6. Che lingua (o dialetto) vorresti che tuo figlio parlasse?
Amo la cultura tedesca, quindi vorrei che mio figlio parlasse tedesco. Se dovessi scegliere però tra le varianti regionali dell’italiano, il toscano senza dubbio (gl’«indigeni», qui, sono cosí incredibilmente espressivi e spontanei!).

7. Ogni quanto tempo torni a casa? Scegli il treno, l'aereo o cos'altro?
Tornerei a casa il meno possibile, questo è sicuro. In aereo o in corriera? Forse è meglio quest’ultima. (Meno noie per i bagagli.)

8. Finiti gli studi pensi di ritornare nella tua città?
Lo deciderà il mercato: per sopravvivere potrei esser costretto a tornare e riprendere l’attività di mio padre. Non è certo quel che voglio… ma francamente, se dipendesse da me, non farei ritorno nemmeno per insegnare.

9. Se avessi il potere di cambiare una sola cosa nella tua città cosa cambieresti?
Già cosí è una bella città, ma tornerebbero utili piú marciapiedi.

10. Primo approccio con i tuoi colleghi universitari. In confronto ad essi come ti è sembrata la tua preparazione?
Provo a tener testa, ma coi normalisti non c’è niente da fare. A ogni modo, essere a contatto con colleghi tanto preparati è stata un’opportunità di confronto che non avevo previsto, e che auguro a tutti.

11. In quanto tempo pensi di trovar lavoro una volta terminati gli studi?
Realisticamente? Parecchio tempo.

12. Qual è il tuo parere in merito alla lettera del direttore della Luiss Carli scritta al proprio figlio? Hai intenzione di avere un esperienza all'estero nel corso della tua carriera da studente?
L’Italia di oggi è il risultato di sviluppi secolari di economia e cultura: i bassi salari e l’ingiustizia sociale —che s’acuisce scendendo verso mezzogiorno— sono l’esito di una sovrastruttura inadeguata che ha bacato la fase di «socialdemocratizzazione» ascendente, di norma successiva al miracolo economico. Semplificando, uno Stato indebitato piú dal pascolo elettorale che da un sano riformismo e una costellazione di piccole e medie imprese numericamente superiori alle grandi (le uniche che posseggano i capitali per investimenti strategici nella ricerca) lasciano per necessità uno scenario molto povero. Pensateci: di paesi virtuosi e competitivi, come l’Islanda o l’Irlanda, abbiamo assistito a una rapida esplosione del debito pubblico e della disoccupazione. Mete dell’emigrazione d’eccellenza, in ginocchio oggi per gestori di banche «qualificati e meritevoli» e per governi «retti» che ne hanno poi nazionalizzato il debito. O i luccicanti Stati Uniti, che pure pagano cosí bene i ricercatori e che cosí giustamente premiano i capaci, resistono al declino con la guerra e con l’inflazione indotta. No, non questo Paese, non l’Italia: questo mondo non ci merita. Se io vado altrove —se io voglio andare altrove— se io voglio stabilirmi in altri luoghi, è perché io ne amo la Cultura. Nessuna amarezza alla partenza.

Fra i vari aneddoti che dossografi e biografi attribuiscono ai filosofi, ve n’è uno —narratoci da Porfirio— particolarmente adatto alla richiesta d’una fotografia: alla proposta d’un allievo di posare per un ritratto scultorio, il grande Plotino rifiutò recisamente, non accettando che venisse perpetuata un’immagine dell’immagine ch’era già costretto a trascinare.
Concederò dunque la foto dei miei soli strumenti di studio: l’occhio con cui osservo, la mano con cui scrivo, il pensiero fatto inchiostro.


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